venerdì 25 marzo 2011

Preparare una valigia.

Finalmente a Tokyo. Non mi è mai mancata così tanto casa mia, eppure mi è capitato di stare lontano per molti più giorni. Credo però che non mi sia mai capitato di dover fare una valigia tenendo bene in mente l'ipotesi che quella valigia potrebbe èssere l'ultima che faccio in quella stanza, scegliere bene cosa portare, ricordare il passaporto, non si sa mai, portare il cappotto buono? E la tavoletta grafica? Rivedrò mai questa casa? Tornerò mai in Giappone? Quando ho preparato questa valigia pensavo esattamente queste cose.
Mi ha fatto male devo ammetterlo, non lo auguro a nessuno, anzi credo che poche persone di quelle che conosco abbiano provato la sensazione di dover scappare e penso sia davvero una brutta sensazione. Certe cose le si danno per scontate, almeno noi che viviamo in società agiate, che siamo abituati a i piccoli lussi quotidiani, ci limitiamo a guardare il telegiornale ed ogni giorno a vivere le tragedie di altri popoli come una spruzzata di peperoncino in più sulla pasta. Ma che ne sappiamo cosa è la disperazione. La guerra. Il disastro. Non ci ha mai toccati da vicino. Cosa ne sappiamo che significa scappare da un luogo. Firse i nostri nonni, loro forse si.
Ora non voglio paragonare la mia esperienza a quello che succede ad un paese in guerra, ma se quello che ho provato io è un infinitesima parte dell'ansia e della disperazione che provano i rifugiati che scappano dalle loro case, beh, allora posso affermare che non ci rendiamo conto che cosa sia la disperazione. Mi sento una persona migliore, più risoluta. Alla fine sono di nuovo qui, fino alla fine, fino a che non mi caccieranno.

La valigia è rimasta fuori dall'armadio con il passaporto all'interno. Non riesco a riporla dentro ancora e non so per quanto altro tempo non ci riuscirò.

R.

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