sabato 12 marzo 2011

Vivere un disastro ambientale.

Non ho mai pensato che un giorno sarebbe successo davvero. Ammetto di aver fantasticato dietro i dvd del National Geographic, guardando grandi fotografi addentrarsi nell'occhio del ciclone, impavidi, con freddezza e professionalità incuranti del pericolo scattare foto impressionanti.
Ieri pomeriggio qui a Tokyo c'è stato il terremoto più forte degli ultimi 40 anni dicono. Ed io èro qui.
Ho sempre pensato che se mai un giorno mi fossi trovato in una situazione del genere avrei avuto la fermezza d'animo di prendere la mia macchina fotografica ed uscire fuori a documentare il documentabile. La verità è che la paura è qualcosa che ti consuma e che ti sfinisce. No, non sto esagerando, qui a Tokyo in fin dei conti è stato soltanto un potente terremoto, nulla a confronto di quello che è successo a Sendai ma tutta questa atmosfera, questa pesante tensione nell'aria, il percepibile nervosismo negli occhi dei giapponesi, le scosse di assestamento che continuano per tutto il giorno (e la notte) è qualcosa che pian piano ti entra dentro e ti consuma, non riesci a riposare, c'è qualcosa dentro di te, una sottile ansia che ti tiene in allerta verso ogni segnale, suono, sensazione percepibile.
Ieri sera tornavo a casa dalla stazione, faceva impressione vedere la massa di persone che rimaste bloccate a causa dell'interruzione della linea metropolitana, facevano un interminabile fila verso la fermata dell'autobus. I convenient store totalmente vuoti, il McDonald 24h chiuso, ma più di tutto avvicinandomi verso casa un silenzio spettrale, quel silenzio che sembra quasi un ronzio, rotto soltanto dal rumore della radio accesa di una pescheria vicino casa ripete "a nastro" i nomi dei dispersi mancanti all'appello. Ebbene, questo per dire che non ce l'ho fatta. Non sono stato in grado di prendere la mia macchina fotografica e andare a documentare tutto questo, la sola cosa che ho sentito necessaria è stata tornare a casa, rimettere a posto il caos dell'appartamento e rassicurare i miei familiari. Forse rassicurare me stesso. Credo che in questi momenti specialmente senti di èssere lontano da casa, dai tuoi cari. Ora, 48 ore dopo, sento ancora un senso di innaturale calma e l'unica che posso fare è cercare conforto tra le persone che hanno vissuto il mio stesso shock. Mentre scrivo queste righe sgrammaticate ho la tele accesa dove annunciano le scosse di assestamento in diretta, cosa terrificante. Non penso sia necessario raccontare dove mi trovavo durante le scosse perchè trovo sia peggio " l'hangover " del giorno dopo, il rendersi conto di cosa è successo, di cosa poteva succedere, di quanto si è stati fortunati stavolta.

R.

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